VILLAFRANCA – Cappella di Missione

Frazione San Giovanni - Villafranca Piemonte
La cappella di Santa Maria di Missione di Villafranca Piemonte è un capolavoro del gotico internazionale nel pinerolese.
La cappella di Missione è la chiesa più antica di Villafranca, sorge sul luogo di una cappella già esistente nel 1037, quando venne donata dal vescovo di Torino Landolfo all’Abbazia di Santa Maria di Cavour che la restituì nel 1315 e da allora rimase alla comunità.
La chiesa all’interno è a navata unica, divisa in due campate: nella prima le pareti e la volta, in origine, non erano decorate ma rifinite con un intonaco bianco, nella seconda invece tutte le superfici sono state dipinte.
Di incredibile bellezza gli affreschi di Aimone Duce, pittore pavese, documentato tra il 1417 ed il 1444, attivo alla corte dei Savoia-Acaia.
Curiosità: la base del campanile, di forma piuttosto inconsueta (triangolare).

Entrando, il primo colpo d’occhio è per la parete centrale di fondo, sulla quale si dispiega un complesso apparato di immagini. Nella parte alta, nella lunetta, ecco una stupenda Annunciazione; sulla destra il pittore ha lasciato la firma: duxaym. p. (pinxit o pingebat). Sotto è affrescato un intenso Compianto sul Cristo morto. Ai lati, due santi martiri. Dipinti in posizione privilegiata catturano immediatamente l’attenzione: sicuramente non sono stati collocati a caso.

La santa sulla sinistra è santa Lucia di Siracusa, sulla destra il guerriero San Maurizio, veneratissimo dai Savoia. Nel San Maurizio si deve forse ravvisare il ritratto del giovane Amedeo VIII; nella S. Lucia sua moglie Maria Claudina di Borgogna (1386-1422), figlia di Filippo l’Ardito e sorella di Giovanni senza Paura (+1419).

La Cappella di Missione è celebre soprattutto per il grande ciclo della parete di sinistra. Vi è qui la sequenza delle sette virtù. Il pittore si è però divertito molto di più a dipingere la sequenza dei Sette Vizi, realizzando figure indimenticabili, degne veramente di testimoniare il loro tempo in tutta Europa.

Il corteo cammina su di una prateria infuocata, sulla quale si muovono gli animali simbolici che trasportano i Vizi e rassomigliano ai peccati che portano in groppa. L’Accidia, una donna pigra, sfatta, con l’occhio perso nel vuoto. Segue l’Ira, che si trafigge con un pugnale. Il pittore rende in modo straordinario i sentimenti di follia che portano la donna al gesto estremo: con poche pennellate ne delinea gli occhi chiusi, il naso anelante, la bocca serrata.

I Vizi diventano più gravi a mano a mano che corrono verso l’inferno. L’Avarizia, magrissima, scarmigliata, stracciata, scalza, porta stretta al petto la borsa dei soldi che non le serviranno per salvarla; cavalca una somigliante scimmia. Infine, l’ultimo vizio, il peggiore. La Superbia, fonte dei vizi, è infatti ormai prossima all’inferno. E’ raffigurata come una regina; cavalca un leone che s’impunta davanti alle fiamme. La lunga cavalcata può fermarsi; è giunta a destinazione; qui si deve smontare: lo testimonia un diavolo che toglie alla Superbia la corona.

 

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